Alle porte di Pesaro e immersi in un parco pubblico che già da solo vale la visita, i giardini all’italiana di Miralfiore sono ciò che resta di una delle più amate residenze ducali. Sorti nel tardo Rinascimento, hanno subito nei secoli progressivi smembramenti senza mai perdere il nucleo originale: negli ultimi decenni un attento lavoro di restauro li ha riportati al loro antico fascino.
Conosciute dal XIII secolo con il nome di Vividarium, queste terre pianeggianti e ubertose tra Pesaro e il fiume Foglia sono state predilette da ben tre famiglie al potere nella città: i Malatesta, gli Sforza dal 1445 (che vi costruirono una Villa detta Torretta per via di due piccole torri ancora oggi esistenti) e i Della Rovere. Fu Guidobaldo II Della Rovere a acquistarle dal maggiordomo di corte di suo padre nel 1559 e a trasformarle in un complesso rinascimentale che divenne il luogo favorito per gli svaghi ducali. Noti architetti come Bartolomeo Genga e Filippo Terzi s’occuparono dell’edificio e delle sue logge e due archi trionfali- uno sul fiume, scomparso insieme al ponte che lo precedeva, e l’altro simmetrico rispetto alla Villa e superstite- presidiavano i viali d’accesso. Il pittore naturalista marchigiano Francesco Mengucci ritrae Miralfiore in quest’epoca d’oro: l’immenso Giardino della Fontana, con aiuole d’erba e piccoli alberi da frutto intorno a una vasca adorna di scimmie in bronzo e una lunghissima pergola sul perimetro; la peschiera; i boschetti che si prolungavano fino ai pantani in riva al fiume, ideali per la caccia. Esistevano due giardini segreti, di cui uno cinto da spalliere di agrumi e detto Giardino dei melaranci, una doppia scala con fontanine e mascheroni e una grotta di pietra spugna ricca di giochi d’acqua. Di tutto questo, passato nei secoli ai Medici, ai Lorena, dato in enfiteusi dalla Chiesa agli Albani, poi ai Castelbarco, caduto in rovina e resuscitato dal 1992 grazie all’attuale proprietario Vittorio Livi, resta un frammento fedele all’originale. I giardini formali, sebbene nel loro volto settecentesco con elaborati parterres di bossi, tassi e ghiaia, ricalcano gli spazi e le atmosfere d’allora. Dalla porzione superstite del Giardino della Fontana, ripartito in sei quadranti, con una sughera monumentale e la cappella, si accede al primo giardino murato: decorazioni in conchiglie sopravvivono tra le rose rampicanti e un antico cipresso sormontato dal glicine fa da sentinella. A quota leggermente inferiore un altro giardino chiuso ospita le serre, la limonaia e i vasi a fiore e s’affaccia sulle chiome imponenti di un platano e un ginkgo biloba.
Questo giardino è stato oggetto di un intervento di restauro e valorizzazione grazie ai fondi del PNRR