È stata definita l’ultima impresa del mecenatismo romano: alla crisi dell’antica nobiltà seguita alla Rivoluzione Francese, i Torlonia risposero con una villa che mirava a surclassare le fastose residenze suburbane rinascimentali e barocche.
Una tenuta agricola già appartenuta ai Colonna, a partire dai primi anni dell’Ottocento ha vissuto successive fasi di ampliamento e abbellimento fino ai primi decenni del secolo successivo. Grazie ai contributi di artefici che spaziano da Giuseppe Valadier e Antonio Canova, fino a Giuseppe Jappelli e più tardi Vincenzo Fasolo e Duilio Cambellotti, è stata trasformata in paludata residenza, degna cornice e status symbol dell’ascesa della famiglia Torlonia, passati nel volgere di pochi decenni da banchieri a principi.
Nella limitata estensione di un parco di tredici ettari la sistemazione formale con assi rettilinei e viali di lecci che inquadrano classici edifici, confina con scenografiche interpretazioni “all’inglese” con vialetti tortuosi che scandiscono una montagnola, un lago e pittoresche fabbriche che alternano citazioni medioevali e rustiche capanne a fantasmagoriche architetture moresche.
Artefice della sistemazione “all’inglese”, tra i rari esempi in area laziale, è stato l’architetto veneto Giuseppe Jappelli, che ha inserito evocazioni ispirate ai luoghi dei poemi ariosteschi e criptiche simbologie massoniche in un contesto non sempre adeguato.
Nota per gli eventi mondani dei Torlonia e poi per essere stata residenza di Mussolini dal 1925 al 1943, la villa è stata pesantemente danneggiata nei due anni di occupazione da parte dell’esercito anglo-americano alla fine della guerra.
Dopo decenni di abbandono, acquisita dal Comune di Roma e aperta al pubblico nel 1978, grazie ad un complesso ed oneroso intervento di recupero accoglie oggi musei, sedi espositive, un teatro, spazi per anziani, una ludoteca, un punto ristoro e una serra, in un parco restituito, per quanto possibile, all’assetto originario.