Le ville di Roma, legate in vari modi alla presenza del pontefice e degli esponenti della curia e della nobiltà che vi gravita attorno, insieme a quelle sorte nella Tuscia, a Tivoli e nel Tuscolo, costituiscono ancora oggi un sistema del tutto particolare che declina tipologie e modelli in armonia con il mutare dei tempi e dei committenti. Pur non avendo, come le Ville Medicee, un legame di continuità con la medesima famiglia di committenti, il sistema trova nel nesso con la curia romana la sua ragion d’essere. Residenze con giardini proliferano in città come in campagna, dove il clima è più salubre e d’estate si gode di una maggiore frescura; agli “otia” si alternano gli incontri ufficiali e di rappresentanza.
Ad ogni pontefice corrisponde l’ascesa della propria famiglia, che non manca di esibire i simboli del potere di cui il palazzo in città e la villa sono i più rappresentativi. Vuoi che sia un Medici o un Farnese, ogni papa lascia nei giardini i segni del proprio passaggio. I giardini diventano anche i simboli del potere dei cardinali nepoti: da Pietro Aldobrandini che si dota di una residenza a Roma e a Frascati, a Scipione Borghese che commissiona la famosa villa fuori le mura aureliane e acquisisce ben tre ville nel Tuscolo, a Camillo Pamphilj che realizza non lontano dal Vaticano una villa con un ampio parco.
Ai committenti con legami diretti con i pontefici – come Alessandro Farnese al quale si devono i giardini di Caprarola – si affiancano nobili e cardinali, in uno spirito di emulazione: dal cardinale Gambara, artefice della Villa Lante a Bagnaia, al cardinale Ippolito d’Este, ispiratore dell’omonima villa di Tivoli.