L’affascinante e spettacolare complesso monumentale di edificio e giardino rappresenta la quintessenza dell’artificio teatrale dove gli effetti anamorfici contribuiscono alla creazione di una spazialità barocca.
L’impianto del giardino, delineato fin dal Seicento da Muzio Oddi per Romano Garzoni (m. 1663) e definito dalle trasformazioni settecentesche, si presenta come una vera e propria macchina teatrale, un grande scenario, contenitore a sua volta di una serie di altre scene. La metamorfosi dal sacro al profano – vedi la sostituzione del romitorio in alto con l’edificio dei “Bagnetti”, dove ci si immergeva al suono di un’orchestra – avviene con Ottaviano Diodati per un altro Romano (1721-1786), in continuità con le idee progettuali di Filippo Juvarra, autore di disegni per l’arredo della villa e per la Palazzina dell’Orologio. La prima visione d’insieme si ha dalla piazzetta all’ingresso che permette di “godere dell’ampia prospettiva” e della perfetta fusione tra giardino e palazzo. Varcato l’ingresso, l’elemento di rilievo è l’impianto “a campana” della platea, che corrisponde all’imboccatura del proscenio, ispirato alle architetture teatrali bibienesche. Il parterre de broderie caratterizza questa zona assieme ai due imponenti getti delle vasche circolari. Dalla platea si sviluppa l’ampio proscenio enfatizzato dal triplice ordine di scalinate con le aperture in asse e l’ingresso alla Grotta di Nettuno al centro. Il corredo statuario della seconda metà del XVIII secolo comprende le due statue di Satiri che simulano la struttura dell’arcoscenico. L’illusoria funzione di quinta è riproposta a una quota superiore dalla doppia figura del Pescia, mentre la Fama sovrasta la scena il cui asse mediano è segnato dal teatro d’acqua con la prodigiosa roccia antropomorfa. Il teatrino di verzura ai margini acquista una funzione simbolo, una sorta di sineddoche del grande teatro-giardino.