Il parco è il più rappresentativo tra i giardini “romantici” dell’Emilia Romagna: la coesistenza di edifici residenziali e funzionali, di sistemazioni paesaggistiche e paesaggio agricolo tradizionale, conferiscono al sito un inestimabile valore storico, culturale e ambientale.
Tra la fine del Seicento e i primi anni del Settecento il conte modenese Antonio Sorra costruisce nella tenuta di famiglia, su progetto dell’architetto bolognese Antonio Torri, “una casa da padroni, per necessario comodo di villeggiare”: i lavori verranno terminati dal nipote Francesco Maria il quale farà sistemare anche il giardino formale, oggi perduto, ricostruibile dalle tempere un tempo presenti nella cosiddetta “Camera dipinta a giardino” della villa e ora custodite nei depositi dei Musei Civici di Modena. A partire dal 1827 Ippolita Levizzani, vedova del conte Cristoforo Sorra, avvia i lavori di trasformazione del giardino formale in giardino “all’inglese”: il progetto è affidato al direttore dell’Orto Botanico di Modena, Giovanni de’ Brignoli di Brünnhoff; ulteriori interventi saranno realizzati dai pittori “paesisti” Ottavio Campedelli e Tommaso Giovanardi, dallo scenografo Camillo Crespollani e dall’ingegnere Cesare Perdisa (sua la serra neogotica; 1842). Il parco presenta un vasto repertorio del giardino romantico propugnato in quegli anni in Italia da Ercole Silva e Luigi Mabil: il lago con le sue isole, la capanna del pescatore, quella del cacciatore e quella dei giochi d’acqua, un “romitorio” al cui interno si cela l’“opulenta sala” della kaffeehaus con gli scherzi d’acqua, le false rovine antiche e medievali comprendenti due torrette al disopra della montagnola, i ruderi del castello, le grotte e la terrazza-belvedere. Dell’impianto ottocentesco restano querce, magnolie, tassi e bossi, ma il parco è popolato anche da noccioli, alberi di Giuda, aceri campestri, frassini, ornielli, carpini bianchi, ippocastani, cedri dell’Atlante, roverelle, olmi e diverse specie di platano e di pioppo. Nel XIX secolo viene modificato il piazzale antistante l’ingresso principale con la realizzazione della “cavallerizza”, un percorso circolare del diametro di 140 metri con doppio filare di platani.
Dopo vari passaggi, nel 1972 la tenuta è diventata proprietà condivisa tra i comuni di Castelfranco Emilia, Modena, Nonantola e San Cesario sul Panaro.