Il paesaggio delle limonaie dell’alto Garda bresciano
Nella splendida cornice del lago di Garda, le limonaie un patrimonio unico al mondo da conservare e valorizzare
di Alberta Cazzani
Il particolare clima della sponda bresciana del Lago di Garda ha favorito un’eccezionale ricchezza di flora e colture agricole mediterranee, con oliveti, vigneti e agrumeti, con capperi, mirti, allori, lecci, cipressi, oleandri, agavi. La più particolare fra le coltivazioni gardesane è tuttavia quella degli agrumi che si estendeva da Salò a Limone. Documentata fin dal XV secolo, è stata probabilmente introdotta fin dal XIII secolo, forse – come vuole la tradizione – dai frati del convento di San Francesco di Gargnano. Anche se le condizioni climatiche sono miti, per rendere possibile l’agrumicoltura a questa latitudine – la più a nord del mondo – furono costruite le limonaie, imponenti strutture in pietra su lunghi terrazzamenti ricavati sui pendii meglio esposti e più riparati dai venti. Pur di riuscire a coltivare i pregiati e ricercati agrumi, si modificò quindi sapientemente un paesaggio già di per sé eccezionale, caratterizzato da una inaspettata mediterraneità. Gli agrumeti, o giardini d’agrumi, oltre ad essere importanti sotto il profilo economico, hanno sempre avuto anche un valore paesaggistico, come dimostrano le numerose testimonianze dei viaggiatori. Il paesaggio era così ben coltivato che sembrava una sequenza ininterrotta di giardini.
Le limonaie sono costituite da alti muri perimetrali – spessi 40-60 cm e alti 8-10 metri – che le chiudono su tre lati e da pilastri in pietra alti fino a 10 metri, di sezione quadrata, di circa 50 x 50 cm su una maglia di 4-5 metri di lato. I pilastri sono legati da una orditura di travi di castagno che li sormonta: grossi puntoni di circa 30 cm di diametro, detti sparadossi, a cui venivano fissati con chiodi, nel senso a loro perpendicolare, in cinque-sei linee tra loro parallele, i correnti, detti cantéri, anch’essi di castagno. Ogni pilastro era collegato ai due pilastri più vicini sulla stessa fila, oppure a un pilastro e al muro perimetrale laterale, mediante tre travi in abete tra loro parallele, dette filarole, provviste di una serie di chiodi a occhiello che servivano per fissare gli elementi mobili di chiusura sul fronte esposto al sole. Da novembre a marzo, quando il clima più freddo poteva arrecare danni alle colture, le limonaie venivano infatti chiuse con grandi pareti mobili di legno, ampiamente vetrate e coperte da tetti con assi anch’essi in legno, ugualmente smontabili. Così, all’orditura del tetto venivano fissate le assi, tavole di abete larghe circa 20 cm per la copertura, mentre il fronte veniva chiuso per mezzo di vetriate (per consentire il passaggio della luce e garantire la sintesi clorofilliana), portiere (semplici tavole in legno accostate e chiodate che potevano essere aperte durante le ore di sole o nelle giornate meno fredde) e di tavole doppie a controbattuta dette mìsili, cioè tavole di mezzo o di congiunzione. Questi elementi, montati e smontati con estrema cura ogni anno, venivano custoditi d’estate in alti magazzini in pietra adiacenti alle limonaie: i caselli: fabbricati rustici a due o più piani che si innalzano quasi a torre, più alti dei pilastri, comunicanti ai diversi livelli con le coperture della limonaia stessa.
L’area di terreno destinata all’agrumicoltura era costituita da una o più terrazze, localmente dette còle, suddivise in campate (i campi) che corrispondono alla porzione compresa tra pilastro e pilastro (circa 20 mq). Ad ogni campata corrisponde un albero, per cui in ogni giardino tanti sono i campi quante sono le piante di agrumi, messe a dimora in piena terra e sostenute da una incastellatura lignea di castagno (il castello).
La rete di irrigazione era costituita da canalette, quasi sempre in pietra calcarea, in cui scorrevano le acque provenienti da sorgenti, pozzi o corsi d’acqua o raccolte in grandi cisterne, che venivano condotte nelle còle del giardino. Fissate con mensole in marmo lungo i muri di terrazzamento, le canalette, opportunamente interrotte da elementi mobili, distribuivano le acque di irrigazione in corrispondenza del piede dei singoli alberi.
Attorno alle limonaie ruotava quindi il lavoro e la perizia di molte persone, così come tutta la cultura artigiana e rurale di intere generazioni, che dal commercio prevalentemente di limoni, ma anche di aranci e cedri, traevano i benefici di una economia fiorente fino alla fine del XIX secolo, basata sull’unicità e sull’ottima qualità del prodotto, destinato in particolare ai mercati del nord e dell’est Europa.
Il territorio intorno alle limonaie fu progettato impiantando filari di cipresso per ripararle dal vento, proteggerle dalla caduta dei massi dalle pendici dei monti soprastanti e per ombreggiare le cisterne per l’acqua; cercando acque sorgive o sfruttando l’acqua del lago; creando una struttura viaria che consentisse una comoda accessibilità; realizzando infine infrastrutture commerciali di supporto. Essendo il terreno alto gardesano calcareo e poco idoneo all’agrumicoltura, per migliorare le condizioni del suolo si arrivò fin dal XVI secolo a prelevare la terra più acida dalla sponda veronese, trasportandola in barca e poi a spalla o con muli, per ottenere un PH ottimale.
Le ricerche storiche hanno dimostrato che il sistema delle limonaie era diffuso lungo tutta la Riviera dell’alto Garda bresciano, ma a Gargnano si concentravano oltre la metà dei lotti destinati all’agrumicoltura che raggiunse la massima espansione negli anni 1850-55 (dei 47 ettari totali, 24 ettari erano a Gargnano, 7 a Limone, 6 a Maderno e 3,5 a Toscolano), con circa 35.000 piante e una media annuale di 15-20 milioni di limoni – di cui oltre 8 milioni nella sola Gargnano – destinati all’esportazione, in prevalenza limoni, mentre gli aranci dolci (portogalli) erano destinati al consumo locale. Interessante e consistente anche la coltivazione dei cedri da cui, a partire dagli inizi del XIX secolo, si ricavavano pregiati liquori prodotti in diverse distillerie locali, ma che nel passato erano soprattutto venduti alla comunità ebraica insediatasi fin dal XVI secolo nel Mantovano che necessitava di cedri freschi per la festa dei Tabernacoli.
Le limonaie gardesane, costruite per scopi agricolo-produttivi, hanno anche una valenza estetica, tanto da diventare una componente fondamentale dei più importanti giardini della Riviera, quali il giardino di palazzo Martinengo Terzi a Salò, il giardino Bulgheroni a Maderno, entrambi di origini seicentesche, e il giardino settecentesco di palazzo Bettoni-Cazzago a Bogliaco. Limonaie erano presenti anche nel giardino dell’Isola del Garda e nel Vittoriale degli Italiani a Gardone e in molti altri giardini ottocenteschi.
Con la fine del XIX secolo l’agrumicoltura gardesana cominciò a decadere: una serie di eventi socio-economici concomitanti quali il costo sempre più elevato della mano d’opera e dei materiali, il mutamento della gestione dei fondi, la diminuzione del valore degli agrumi per via della concorrenza del prodotto meridionale (più economico, dato il clima che ne consentiva la coltivazione senza costose protezioni invernali), la scoperta della formula per ottenere chimicamente l’acido citrico, alcuni inverni particolarmente rigidi e soprattutto il diffondersi di una grave malattia, la gommosi, hanno portato al graduale abbandono dell’intero sistema. Questa coltura storica tradizionale è stata così a poco a poco abbandonata e solo in anni recenti si sta recuperando con finalità documentarie/museali – come la limonaia La Malora e quella del Fondo Crocefisso a Gargnano, la limonaia ecomuseo Prà de la Fam a Tignale e la limonaia-museo del Castèl a Limone sul Garda – o turistiche, ma anche per la produzione di agrumi destinati al consumo familiare e locale. Attualmente la maggior parte delle aree un tempo destinate all’agrumicoltura non mantengono integra la struttura architettonica (si sono perse le travature lignee di copertura e spesso anche i pilastri) e sono riconvertite a verde privato o ad altri usi agricoli (soprattutto a oliveti, vigneti, orti, frutteti); solo poche decine di limonaie sono ancora attive e produttive secondo i metodi tradizionali, ma numerose e in aumento sono quelle in cui vengono coltivati gli agrumi, con conseguente sviluppo di aziende e cooperative agricole finalizzate alla promozione di un prodotto tradizionale di eccellenza. Gli agrumi gardesani infatti oggi non sono soltanto testimoni di una redditizia industria del passato, ma risultano un prodotto locale sempre più apprezzato.
Il paesaggio agrario storico – malgrado la recente urbanizzazione e le trasformazioni territoriali – risulta ancora ben leggibile: le limonaie infatti, pur avendo parzialmente perso l’originaria funzione produttiva, rappresentano un patrimonio unico al mondo, ricco di valori storico-documentari, architettonico-paesaggistici e botanico-agronomici da conservare e valorizzare.
Testo di Alberta Cazzani
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